I primi 10 anni dell’arcivescovo Corrado Lorefice a Palermo: “Avanti insieme in un cammino di popolo”

La strage di migranti del 2015, Lorefice invita a ricordare nella preghiera

“Vorrei dirvi stasera quanto stupore, quanta emozione, quale senso di responsabilità hanno riempito il mio, di cuore, quando l’indimenticabile, amatissimo Papa Francesco – amatissimo perché profeta del Vangelo nel nostro tempo, annunziatore della sua freschezza – mi chiese di lasciare il ‘piccolo orto’ che curavo con affetto, a San Pietro, in Modica, per donarmi e affidarmi un giardino così grande, così bello, così impegnativo come la Chiesa di Palermo”.

Così l’Arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, durante l’omelia nel decennale della sua Ordinazione Episcopale, in Cattedrale. “Sono venuto qui – aggiunge -, consapevole che questo giardino, questa Chiesa di Palermo era già stata a lungo coltivata dai miei predecessori e che il mio compito era quello di continuare, di fare un pezzo di strada con voi. Così ho ricordato subito i Pastori che mi hanno preceduto, da Mamiliano ai giorni nostri: i giorni dei cardinali Ernesto Ruffini, Francesco Carpino, Salvatore Pappalardo, Salvatore De Giorgi, fino al cardinale Paolo Romeo che 10 anni fa mi consacrava in questa cattedrale. Ricordarli, nella gratitudine e nella preghiera, era ed è un modo di esprimere il nostro ‘grazie’ al Pastore e Sposo della Chiesa, che non smette mai di prendersi cura della sua Sposa. Essa cammina nella storia sostenuta dal suo amore, dal suo perdono, dalla sua consolazione”.

“Siamo sordi, siamo ciechi, ci ricordano Isaia e Matteo. È inutile nascondercelo – prosegue l’Arcivescovo -. Se guardiamo alla nostra Palermo, alla nostra Sicilia, all’Italia e, direi, al mondo intero, nel suo assetto odierno, ci rendiamo conto di come si stenda su di noi la coltre della sordità, come ci blocchi l’impaccio della cecità. Se ascoltassimo l’appello che ci giunge dal fratello, dalla sorella, dal loro volto sfigurato, sfinito dalla guerra, dalla povertà, dalla violenza; se aprissimo gli occhi sul peccato contro lo Spirito, che è pensare e vivere la vita come un conflitto distruttivo e infinito, in cui i più forti prevalgono sui più deboli, in cui i potenti senza scrupoli e i mafiosi prevaricano sulla gente, spargendo paura, miseria, terrore, morte; se non ci girassimo dall’altra parte, rifugiandoci nel nostro cantuccio, rifiutando di metterci assieme, di ‘com-patire’ e lottare con tutti, di creare dal basso – da quella terra in cui germoglia il granellino di senapa e sboccia in silenzio il frutto del Regno (cfr Mt 13,32; Mc 6,26-29) – i presupposti di un mondo nuovo, tutto sarebbe diverso, il profilo della vita sarebbe nella luce”.

“Stasera, dieci anni dopo quel 5 dicembre del 2015, vi invito ad andare avanti assieme. Quel cammino sinodale che Papa Francesco ha attivato e Papa Leone XIV sta continuando con lo scopo di coinvolgerci tutti in un cammino di popolo”, conclude.