“Storia di un orrore giudiziario”, Saverio Romano ribadisce propria “totale innocenza” e se la prende con la stampa

“Storia di un orrore giudiziario”. Così Saverio Romano, titola il suo odierno post su Facebook tornando sulla richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta su presunti appalti truccati, che coinvolge 18 persone. “Cronaca di un processo mediatico prima che giudiziario. Ci sono momenti nella vita di un uomo in cui il tempo si ferma. Non perché manchi il respiro o la forza, ma perché un’ingiustizia improvvisa si abbatte come un vento freddo, gelando ogni certezza. Questo post nasce da quel silenzio” prosegue il coordinatore politico di Noi Moderati.
“Non per difendere un ruolo o una posizione, ma per raccontare, con la lucidità che resta dopo lo sgomento, come un semplice atto giudiziario possa trasformarsi in un’arma mediatica, e come la reputazione di una persona possa essere travolta in poche ore da titoli, insinuazioni e semplificazioni. È un martedì come tanti, quando l’agenzia batte la notizia: ‘Indagine per corruzione e turbativa d’asta, coinvolto anche l’ex ministro Romano’. Le parole ‘indagine’, ‘coinvolto’, ‘corruzione’ bastano a riscrivere il senso di una vita. In poche ore, senza che vi sia la riservatezza che dovrebbe accompagnare la presunzione d’innocenza, un nome viene esposto al pubblico ludibrio. La stampa locale rilancia, quella nazionale amplifica, i social giudicano. Nessuno legge le carte, ma tutti commentano. Eppure, nel provvedimento non c’è nulla più di un supposto episodio da verificare davanti al Giudice. Un atto, in assenza di qualsiasi elemento concreto, che diventa però il seme di una macchina narrativa irreversibile. Chi porta un nome pubblico non è mai solo, dietro ci sono famiglie, amici, colleghi, collaboratori” scrive Saverio Romano.
“In un istante, tutto ciò che hai costruito in decenni di impegno politico, professionale e umano, viene messo in discussione. Chi ti conosce tace per rispetto, chi non ti conosce ti giudica per riflesso. È il prezzo della visibilità, ma anche la misura del degrado di un sistema informativo che non distingue più tra notizia e sospetto. Poi arrivano le carte, e si scopre che tutto si regge su pochi fogli, scritti in linguaggio formale, dove il tuo nome appare accanto ad altri. Non ci sono intercettazioni dirette che ti riguardano, né denaro, né favori, né appalti truccati. Solo un’ipotesi generica, collegata a un ‘episodio’ che non ti vede autore di alcun atto, ma soltanto menzionato in modo indiretto, ‘avresti tentato di truccare una gara affinché un tuo amico potesse avere più lavoro’ Sic! Credo nell’amicizia ma non ad ogni costo… La Procura scrive ‘allo stato’, ma la stampa legge ‘colpevole’. E in quell’avverbio ‘allo stato’ si consuma la distanza tra diritto e opinione, tra verità e suggestione. Non esiste garanzia che regga all’urto del pregiudizio. Il processo mediatico non ha regole, non conosce presunzione d’innocenza, non ammette difesa”.
“Basta un titolo per costruire una colpa. Un pubblico ministero può impiegare mesi per scrivere una richiesta, un giudice alcune settimane per valutare e decidere, ma un titolo può distruggere una reputazione in cinque minuti. Il giornalismo d’inchiesta diventa gossip giudiziario, e il cittadino perde il diritto alla verità. Ma il diritto, seppure ferito, resiste. E la prima forma di difesa è la trasparenza: renderò interrogatorio davanti al giudice risponderò ad ogni domanda. Combatterò con tutte le mie forze per affermare la mia innocenza, lo devo a me stesso, ai miei familiari, ai miei amici ed alle mie amiche, alla mia comunità politica, a quei cittadini italiani che hanno già sofferto l’ingiustizia della gogna mediatica. Non c’è vendetta, in questa battaglia. C’è solo la volontà di restituire dignità a un principio: nessuno è colpevole finché non è condannato” conclude Romano.
