103 CHIUSURE IMMEDIATE: il famosissimo supermercato lo ha annunciato | È ufficiale

interno centro commerciale (foto freepik) - teleone.it

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Fra “botteghe” che a poco a poco scompaiono e nuovi modelli di consumo: ecco cosa succede negli ultimi anni 

Negli ultimi anni l’Italia – e non solo il nostro Paese – ha vissuto una trasformazione economica e commerciale che ha cambiato radicalmente il volto delle città. Piccoli negozi, laboratori artigianali e attività storiche, pilastri della vita quotidiana e del tessuto sociale urbano, hanno progressivamente abbassato le saracinesche. È un fenomeno che affonda le sue radici in dinamiche globali, ma che nel nostro Paese assume una valenza particolarmente dolorosa per la sua ricca tradizione di commercio locale e artigianato di qualità.

Le cause di questa crisi sono molteplici. Da un lato, la crescente pressione fiscale e l’aumento dei costi di gestione hanno reso insostenibile il mantenimento di piccole attività a conduzione familiare. Dall’altro, l’avvento dei centri commerciali e, più recentemente, del commercio online, ha stravolto le abitudini dei consumatori, spostando il baricentro del mercato verso grandi strutture e piattaforme digitali in grado di offrire prezzi competitivi e orari più flessibili.

In molte città italiane, quartieri un tempo vivaci e popolati da negozi di vicinato oggi mostrano vetrine vuote, serrande abbassate e cartelli con la scritta “affittasi”. È il segnale di un cambiamento che non è solo economico, ma anche culturale e sociale. La chiusura di un negozio di quartiere rappresenta infatti la perdita di un punto di riferimento, di un luogo d’incontro e di scambio umano che va ben oltre la semplice transazione commerciale. Gli artigiani, in particolare, sono tra le categorie più colpite. Professionisti del sapere manuale, custodi di tradizioni tramandate da generazioni, si trovano oggi schiacciati tra la concorrenza dei grandi marchi e la crescente disattenzione verso i prodotti di qualità. L’Italia, patria del “fatto a mano”, rischia così di vedere dissolversi un patrimonio immateriale che per secoli ha definito la sua identità culturale ed economica.

L’arrivo dei centri commerciali, già a partire dagli anni Duemila, ha dato il colpo di grazia a molti negozi storici. Inizialmente accolti come simbolo di modernità e comodità, questi poli di consumo hanno progressivamente drenato clienti dai centri urbani, offrendo tutto in un unico luogo: abbigliamento, elettronica, ristorazione e intrattenimento. Una formula vincente per i consumatori, ma devastante per il piccolo commercio. A ciò si è aggiunta la spinta del digitale, che con l’e-commerce ha reso superfluo persino lo spostamento fisico per fare acquisti.

La chiusura delle attività storiche e il rischio per le comunità locali

Le statistiche degli ultimi anni mostrano un trend allarmante: ogni anno migliaia di negozi chiudono in tutta Italia. Botteghe di calzolai, panifici, mercerie, fioristi, ma anche piccoli bar e ristoranti di quartiere. Realtà che, per decenni, hanno animato i centri cittadini, sostenendo l’economia locale e contribuendo a creare un senso di comunità.

Le conseguenze non sono solo economiche. La scomparsa di questi esercizi comporta la desertificazione dei centri storici e la perdita di una parte importante della memoria collettiva. Le nuove generazioni rischiano di crescere in città anonime, dove ogni strada somiglia all’altra e dove il valore del contatto umano è sostituito da transazioni rapide e impersonali. Le piccole attività non rappresentano solo il commercio, ma un modo di vivere e di concepire la socialità.

chiusura negozio saldi (foto italpress) teleone.it
chiusura negozio saldi (foto italpress) teleone.it

Il caso e la “chiusura inevitabile” di una grande (e storica) catena

Il fenomeno non riguarda, come anticipato, soltanto l’Italia. Anche all’estero, grandi catene storiche stanno affrontando difficoltà e chiusure dolorose. Riportiamo soltanto un caso, quello di Morrisons, una delle più importanti catene di supermercati del Regno Unito, che ha recentemente annunciato la chiusura di oltre 100 sedi tra negozi, caffetterie, fioristi e farmacie. Le cause, spiegano i vertici dell’azienda, risiedono nella necessità di riorganizzare le risorse e concentrarsi sulle aree in cui i clienti mostrano maggiore fedeltà e valore commerciale.

Il CEO Rami Baitiéh ha dichiarato che, sebbene i caffè Morrisons restino amati per la qualità del cibo e il legame con la comunità, in alcune località le sfide economiche e logistiche rendono inevitabile la chiusura. La catena intende chiudere oltre 50 caffè, 13 fioristi, quattro farmacie e 18 cucine “Market Kitchen” entro la fine dell’anno. Un segnale che la crisi del commercio fisico non conosce confini e coinvolge anche le realtà più solide. Il caso Morrisons mostra come il modello economico contemporaneo, sempre più orientato all’efficienza e alla centralizzazione, stia minacciando la sopravvivenza dei negozi locali e delle attività legate al territorio. Un fenomeno globale che impone una riflessione sul futuro del commercio e sulla necessità di riscoprire il valore umano dietro ogni vetrina che si illumina al mattino.