“Accordi fra Berlusconi e la mafia mai dimostrati”: definitiva la decisione della Cassazione

“La tesi della connessione fra gli enormi versamenti ed un possibile patto criminale tra Dell’Utri e Berlusconi e/o la riconoscenza (o la remunerazione) per il silenzio serbato dal Dell’Utri circa i rapporti fra Berlusconi e Cosa nostra, pur se estremamente suggestiva (fosse solo per l’incredibile ammontare complessivo di tali versamenti e per la stessa storia criminale di Dell’Utri), presta il fianco alla finora indimostrata esistenza di accordi fra il sodalizio criminale e Berlusconi, sia in campo imprenditoriale che politico”.
Si tratta di quanto scritto dai giudici del tribunale di Palermo nella sentenza con cui avevano respinto la richiesta di confisca del patrimonio di Marcello Dell’Utri, della moglie e dei figli. Con il suggello della Cassazione è ora diventata definitiva quella decisione poi confermata dalla corte d’appello.
“Nessun elemento concreto depone per ritenere tutte le entrate di Marcello Dell’Utri (dunque anche quelle derivanti dallo svolgimento di attività professionale presso le società del gruppo imprenditoriale riconducibile a Silvio Berlusconi, e finanche gli emolumenti per la carica di parlamentare) illecite in quanto derivanti da una sorta di ‘inquinamento’ genetico”, scrisse il tribunale di Palermo nel 2024 respingendo la proposta di misura patrimoniale. Contro il decreto la procura e la procura generale ricorsero in appello ma le impugnazioni vennero una rigettata, l’altra dichiarata inammissibile.
Pertanto la corte confermò la prima decisione aggiungendo che “le elargizioni di Berlusconi a favore del Dell’Utri hanno sempre una causale ben individuata (prestiti infruttiferi, donazioni, compravendite immobiliari, transazioni, vitalizio, etc.); la loro tracciabilità emerge ictu oculi dai conti correnti bancari del soggetti tra cui intercorrono detti flussi di denaro, ma soprattutto, riguardano un periodo che non rientra nel perimetro cronologico di pericolosità sociale del proposto, che si ferma al 2012”. La Cassazione ha, nei giorni scorsi, dichiarato inammissibile anche il ricorso della Procura generale contro il decreto della corte d’appello.