La morte di Paolo, a 15 anni, e le infinite domande | Emergono nuovi dubbi, le indagini adesso si allargano

Paolo Mendico (foto fb) teleone.it
Il caso di Paolo Mendico: le tante ombre e le nuove ipotesi sulla tragedia del 15enne di Latina
Dopo la morte – a soli 15 anni – di Paolo Mendico, in circostanze drammatiche, sono ancora oggi tantissime le domande, e poche le certezze. Il Procuratore della Repubblica di Cassino, Carlo Fucci, mantiene aperta ogni ipotesi. Le prime evidenze parlano di suicidio, ma la relazione del medico legale non è ancora pronta e rappresenta un passaggio fondamentale per stabilire la verità. Senza quella relazione definitiva non si possono chiudere le indagini né escludere altre piste. La prudenza, in un caso così delicato, è l’unica via percorribile.
Le indagini non si fermano alla scuola, ma si estendono all’intera vita del ragazzo. Paolo non ha lasciato biglietti, non ha confessato a nessuno il suo disagio e questo complica il lavoro degli inquirenti. I magistrati stanno cercando di ricostruire il suo mondo interiore, fatto di passioni musicali, amicizie, impegni quotidiani e allo stesso tempo fragilità profonde. Il suicidio, avvenuto poco prima dell’inizio dell’anno scolastico, difficilmente appare come un gesto impulsivo.
Secondo il procuratore, questi eventi tragici sono spesso il risultato di un percorso interiore lento, in cui basta un episodio scatenante a far traboccare il vaso. Per questo si vuole comprendere fino in fondo quale sia stato quel percorso e quale sia stata “la goccia” che ha determinato l’irreparabile.
Sotto la lente degli inquirenti finiscono diversi elementi: lo sportello psicologico della scuola, i dispositivi elettronici di Paolo – telefoni e computer – e le chat utilizzate quotidianamente. Non meno importanti le figure adulte che circondavano il ragazzo, oltre ai compagni di classe. Tutto ciò potrebbe offrire indizi cruciali per capire se dietro il dolore del quindicenne ci fosse solo bullismo o qualcosa di più complesso.
Il ruolo della scuola e le accuse della famiglia
La famiglia di Paolo punta il dito anche contro l’istituto scolastico. Il fratello Ivan sostiene che non si tratti soltanto di prese in giro da parte di alcuni compagni, ma anche di vessazioni più ampie. “Se le indagini riguardano anche gli adulti – spiega – significa che Paolo non subiva soltanto scherzi dai bulletti che lo chiamavano Nino D’Angelo per i suoi capelli biondi. Ci sono chat, quaderni e annotazioni firmate dagli insegnanti che documentano chiaramente episodi di bullismo”.
L’istituto però respinge con decisione queste accuse. La dirigente scolastica, Gina Antonetti, afferma che non vi è mai stata alcuna segnalazione ufficiale da parte dei genitori né richieste di colloqui. Al contrario, la famiglia avrebbe scelto quella scuola proprio per il suo carattere inclusivo. Un contrasto netto, che rende il quadro ancora più complesso e difficile da decifrare.

Un caso su cui si interroga la società
La tragedia di Paolo Mendico non è solo una vicenda giudiziaria, ma anche un drammatico specchio della società attuale. Bullismo, isolamento e mancanza di comunicazione tra giovani e adulti sono elementi che emergono con forza. Le indagini dovranno stabilire le responsabilità, ma resta il fatto che la perdita di un adolescente di 15 anni lascia un segno indelebile nella comunità.
Il dolore della famiglia si intreccia alle domande degli investigatori e alle riflessioni collettive: come intercettare i segnali del disagio giovanile prima che sia troppo tardi? La risposta non riguarda solo la giustizia, ma l’intera comunità educativa e sociale. Solo una maggiore consapevolezza e attenzione può evitare che simili tragedie si ripetano.