‘Benvenuto nel nostro Paese, sono 1750€ grazie’: follia in queste città europee | Ora serve un mutuo per andarci

turismo e turisti - foto teleone.it

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Le tasse di soggiorno e le nuove imposte introdotte sul turismo: dal caso italiano alle proteste per quello che avviene all’estero 

Il turismo, negli ultimi decenni, è cresciuto a ritmi impressionanti, portando con sé benefici economici enormi ma anche nuove sfide. Tra queste, la gestione dei flussi turistici attraverso l’introduzione delle cosiddette tasse di soggiorno o ticket di accesso. Si tratta di contributi che i viaggiatori devono pagare quando pernottano in una città o accedono a determinati luoghi di interesse. La loro applicazione ha una storia precisa e motivazioni che spesso variano a seconda delle realtà locali.

In Italia, la tassa di soggiorno è stata introdotta per la prima volta con il decreto legislativo n. 23 del 2011, che ha concesso ai comuni turistici la possibilità di applicarla. Oggi l’imposta non è uniforme su tutto il territorio nazionale, ma cambia da regione a regione, e persino da città a città. A Roma, ad esempio, i turisti devono pagare cifre variabili a seconda della categoria dell’hotel in cui soggiornano: dai bed & breakfast fino agli hotel di lusso. Venezia, invece, ha avviato negli ultimi anni un sistema ancora più complesso, che include anche un contributo per l’accesso giornaliero alla città lagunare.

Le ragioni di tali misure sono molteplici: sostenere i bilanci comunali, finanziare la manutenzione urbana, tutelare il patrimonio artistico e culturale, e al tempo stesso cercare di regolare i flussi turistici. Non è un caso che alcune città d’arte come Firenze o Milano abbiano applicato tariffe differenti rispetto alle località di mare o di montagna, in base al tipo di turismo che le caratterizza e alla pressione esercitata dai visitatori.

Anche all’estero la situazione non è diversa. Paesi come la Francia e la Spagna hanno adottato modelli simili, soprattutto nelle città maggiormente visitate. A Barcellona, ad esempio, l’imposta è stata introdotta con l’obiettivo di ridurre il fenomeno dell’overtourism, che stava mettendo a dura prova il tessuto urbano e la vita dei residenti. Parigi, invece, utilizza i fondi raccolti per migliorare i servizi di trasporto e la manutenzione delle attrazioni più amate. Persino piccoli paesi europei e mete insulari hanno adottato il sistema, spesso legandolo alla tutela ambientale e allo sviluppo sostenibile.

E in un caso, iniziano a piovere proteste

L’idea alla base delle tasse di soggiorno e dei ticket di ingresso è chiara: garantire che i benefici del turismo non si trasformino in danni irreversibili per i centri storici, le comunità locali e i patrimoni naturali. Per i comuni, infatti, questi contributi rappresentano un modo per finanziare la pulizia, il restauro e la sicurezza, senza gravare eccessivamente sui residenti. Pagare queste tasse, quindi, significa anche contribuire attivamente alla salvaguardia delle bellezze che si stanno visitando.

Non mancano però le critiche. Molti operatori turistici ritengono che tali imposte possano scoraggiare i viaggiatori, spingendoli verso destinazioni meno costose. Altri sottolineano che il rischio è quello di trasformare alcune località in luoghi esclusivi, accessibili solo a chi può permettersi di pagare ulteriori balzelli. La sfida è dunque trovare un equilibrio tra la tutela dei luoghi e l’accessibilità per tutti.

villaggio mulini (foto tripadvisor) - teleone.it
villaggio mulini (foto tripadvisor) – teleone.it

La decisione per evitare l’overtourism

Negli ultimi mesi, il dibattito si è acceso soprattutto nei Paesi Bassi, una delle nazioni più amate dai turisti europei e internazionali. Dopo anni di crescita continua dei visitatori, il governo olandese ha deciso di adottare misure drastiche per contrastare l’overtourism e salvaguardare i propri luoghi simbolo. Tra queste, una nuova tassa di accesso che ha già fatto discutere. Il caso più emblematico riguarda Zaanse Schans, il pittoresco villaggio dei mulini a vento (foto sopra) situato a nord di Amsterdam. Dal 2026, i visitatori dovranno pagare un biglietto d’ingresso di 17,50 euro per accedere al sito. La misura ha un duplice obiettivo: ridurre di circa un milione il numero di turisti annuali (oggi stimati attorno ai tre milioni) e finanziare la manutenzione degli edifici storici.

Nonostante l’esenzione prevista per i residenti, molti imprenditori e cittadini si sono detti contrari, temendo un calo degli affari e un progressivo snaturamento del villaggio, che rischierebbe di trasformarsi in un “parco a tema”. La decisione ha scatenato proteste e acceso un dibattito che coinvolge tutta l’Europa, dove il turismo di massa sta diventando un problema strutturale. Nonostante le polemiche, la linea intrapresa dal consiglio comunale di Amsterdam sembra destinata a segnare un precedente, costringendo altre città a riflettere su come conciliare turismo sostenibile e tutela del patrimonio culturale.