La Guardia di Finanza ha preso di mira questi cittadini: inviate già le comunicazioni | Ora sgamano tutti

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Tutto ciò che si “vende” online è in forte crescita, anche dal punto di vista turistico: ma ecco cosa succede adesso.
Negli ultimi anni, il settore del turismo ha vissuto una vera rivoluzione grazie alle piattaforme digitali. Le prenotazioni online, in particolare attraverso portali come Airbnb e Booking.com, hanno trasformato radicalmente il modo in cui le persone organizzano le proprie vacanze. Queste piattaforme permettono a milioni di turisti di prenotare in pochi clic soggiorni in città d’arte, borghi storici e destinazioni costiere, contribuendo a un’impennata senza precedenti delle presenze turistiche.
Nei centri storici, soprattutto in Italia, la richiesta è diventata talmente elevata che in molte località si registra regolarmente il tutto esaurito. Gli affitti brevi rappresentano una forma redditizia per i proprietari di immobili, ma anche una soluzione flessibile e spesso più economica per i viaggiatori. Tuttavia, dietro questo boom, si nasconde un intricato sistema fiscale e normativo con cui i locatori devono confrontarsi ogni giorno.
Gestire un B&B o un appartamento per affitti brevi implica infatti una serie di obblighi: dalla comunicazione degli ospiti alle autorità di pubblica sicurezza alla registrazione fiscale dei redditi percepiti. I costi non sono trascurabili: commissioni dei portali, imposte locali, eventuale apertura di Partita IVA, cedolare secca e adempimenti burocratici. E le normative cambiano spesso, rendendo la vita complicata anche per i proprietari più organizzati.
In questo contesto, è stata direttamente la Guardia di Finanza a decidere di avviare nuovi e massicci controlli per verificare il corretto adempimento degli obblighi fiscali da parte di chi mette a reddito immobili tramite le OTA (Online Travel Agencies). I controlli si concentrano sui dati trasmessi dalle piattaforme digitali per gli anni dal 2016 al 2021, e i numeri coinvolti sono imponenti.
Dove partono i controlli “a tappeto” sui redditi
Si tratta, insomma, di una massiccia operazione di controllo. L’iniziativa congiunta tra GdF e Agenzia delle Entrate riguarda, infatti, oltre 600.000 strutture ricettive: hotel, case vacanza, B&B, affittacamere, campeggi, glamping, ostelli e alloggi a uso turistico. Tutti sotto osservazione per la verifica dei redditi percepiti e non dichiarati correttamente al Fisco. In particolare, si controlla se siano state versate imposte come IRPEF, IVA e IRAP.
Un’attenzione specifica è riservata ai property manager, ovvero soggetti che gestiscono immobili di terzi tramite account professionali. In questi casi, se non viene distinta la propria commissione dal reddito del proprietario, l’intero importo riscosso potrebbe essere attribuito a loro, con pesanti conseguenze fiscali. Anche gli host privati, comunque, sono tenuti a dichiarare i guadagni, anche se spesso subiscono la ritenuta automatica operata dalle piattaforme. E’ da evidenziare che alla base di questa massiccia campagna di accertamenti vi sono i dati trasmessi da Airbnb e Booking all’Agenzia delle Entrate. Per Airbnb, le informazioni riguardano il periodo 2017-2021, mentre Booking ha fornito dati dal 2016 al 2019. Questi flussi informativi derivano da precedenti transazioni miliardarie con il Fisco: 576 milioni per Airbnb e 94 milioni per Booking, a cui si aggiungono accordi più recenti per regolarizzare l’imposizione fiscale in Italia.

Il rischio di contestazioni fiscali per migliaia di persone
Ma andiamo a vedere, nel dettaglio, quali sono le conseguenze. Nel momento in cui arriva un avviso di accertamento, le opzioni sono due: contestare le risultanze del Fisco davanti al giudice tributario, oppure aderire spontaneamente tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso. Tuttavia, le cifre richieste sono spesso molto elevate, anche in presenza di sanzioni ridotte, e questo può mettere in seria difficoltà gli operatori meno strutturati. Grazie a questi dati, le autorità fiscali sono oggi in grado di ricostruire in modo molto preciso i guadagni ottenuti da ciascuna struttura ricettiva, comparando le informazioni con le dichiarazioni fiscali effettuate dai proprietari. Il risultato è l’invio di comunicazioni e contestazioni fiscali a migliaia di soggetti.
Chi decide di opporsi deve dimostrare che i dati forniti dalle piattaforme non corrispondono alla realtà o sono stati mal interpretati. Una difesa possibile ma complessa, che richiede l’assistenza di esperti in materia fiscale e una documentazione accurata. In alternativa, molti preferiscono sanare la propria posizione, anche a costo di un esborso considerevole. Alla fine, il succo del problema è chiarissimo: il turismo “digitale” è un’opportunità straordinaria, ma va affrontato con piena consapevolezza fiscale. Le istituzioni sono oggi in grado di incrociare dati, identificare le irregolarità e colpire duramente chi non rispetta le regole. Per evitare problemi futuri, è essenziale operare in piena trasparenza e affidarsi a professionisti del settore.