Laboratorio di analisi e ricerca - foto (C) Teleone.it
Un caso senza precedenti scuote l’Europa e mette in discussione i sistemi di controllo delle banche del seme. LA vicenda complessa e drammatica, che riguarda la commercializzazione di seme contaminato da una grave mutazione genetica, sta generando allarme tra famiglie, medici e istituzioni europee. La scoperta, frutto di un’ampia indagine giornalistica, ha rivelato come un donatore danese affetto da una mutazione del gene TP53 abbia contribuito alla nascita di quasi 200 bambini in diversi Paesi europei. Alcuni di loro, purtroppo, hanno già sviluppato gravi patologie oncologiche. Il caso solleva interrogativi cruciali sul tema della sicurezza genetica e sulla regolamentazione delle banche del seme.
L’inchiesta è stata condotta dallo European Broadcasting Union’s Investigative Journalism Network, coinvolgendo 14 emittenti, tra cui la BBC. L’indagine evidenzia come il donatore, un ex studente danese che operava regolarmente per la Denmark’s European Sperm Bank, fosse ignaro di essere portatore della mutazione. Il seme, rimasto in commercio per ben 17 anni, è stato distribuito in più nazioni, generando conseguenze oggi giudicate devastanti. L’episodio ha aperto un vasto dibattito sulla necessità di potenziare i protocolli di screening genetico.
Dalla mappa diffusa dai giornalisti emerge che alcuni Paesi, come Italia e Regno Unito, sembrano non aver ricevuto campioni contaminati. Tuttavia, nazioni come Germania, Islanda, Irlanda, Belgio, Polonia, Spagna e diversi Paesi balcanici risultano direttamente coinvolti. Il seme contenente la mutazione – presente nel 20% del materiale genetico del donatore – avrebbe trasmesso a molti dei neonati la sindrome di Li-Fraumeni, una condizione che aumenta fino al 90% il rischio di sviluppare tumori durante l’infanzia.
La Denmark’s European Sperm Bank ha ammesso la situazione, rivendicando la propria buona fede e dichiarando che il donatore risultava completamente sano ai test standard dell’epoca. L’istituto ha espresso solidarietà alle famiglie colpite e riconosciuto che in alcuni Paesi il numero di bambini generati dallo stesso donatore sia stato eccessivo. Un’ammissione che non basta però a placare le preoccupazioni crescenti delle associazioni e della comunità scientifica.
La European Society of Human Genetics ha espresso forte preoccupazione dopo aver potuto esaminare 67 bambini collegati al caso. Delle cartelle visionate, ben 23 mostrano la presenza della pericolosa variante del gene TP53. I dati emergono mentre diversi specialisti, tra cui la genetista oncologica Edwige Kasper dell’ospedale di Rouen, raccontano di aver seguito bambini che hanno sviluppato più di un tumore in età molto giovane. Alcuni non sono riusciti a sopravvivere.
A rendere più complessa la vicenda è il fatto che il donatore non manifestasse alcuna patologia, motivo per cui il gene danneggiato non era stato rilevato nei test di routine. Solo dopo l’aumento di casi sospetti, negli anni successivi, si è arrivati alla ricostruzione genetica che ha permesso di identificare la mutazione. Una scoperta tardiva che oggi alimenta polemiche su controlli e responsabilità.
Tra le molte madri che hanno utilizzato quel seme, una donna francese – indicata come “Céline” – ha raccontato alla BBC la sua amarezza per essere stata esposta a un rischio tanto grave senza alcuna informazione. Il suo figlio, concepito in una clinica belga 14 anni fa, è stato segnalato tra i bambini sotto osservazione. La donna ha spiegato di non provare alcun rancore verso il donatore, definito “inconsapevole”, ma ha denunciato con forza la mancanza di tutela: secondo lei, la struttura sanitaria le ha somministrato qualcosa “di non sicuro, di non pulito, di pericoloso”.
Il caso continua a sollevare domande pesanti: come è stato possibile che un seme geneticamente compromesso sia rimasto in distribuzione per quasi due decenni? Perché i protocolli non hanno previsto screening più avanzati? E soprattutto: cosa accadrà ora alle famiglie che attendono risposte, cure e chiarimenti? L’Europa guarda con crescente attenzione alla vicenda, mentre si rafforza la richiesta di nuove e più severe normative in ambito genetico e riproduttivo.
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