La tragedia di Muggia, dove il piccolo Giovanni è stato ucciso dalla madre, riporta alla luce una lunga serie di segnalazioni, denunce e valutazioni che oggi vengono riesaminate con attenzione. Documenti, relazioni e verbali emergono nuovamente tra gli atti, gettando ombre su decisioni ritenute fondamentali nella gestione del caso. Al centro della vicenda c’è la domanda più importante: come è stato possibile che un incontro “non protetto” abbia portato a un epilogo così drammatico?
Tra le carte tornate alla ribalta vi sono oltre 5mila pagine di atti giudiziari che narrano un percorso travagliato, fatto di interventi dei carabinieri, testimonianze del bambino e passaggi critici forse valutati con eccessiva leggerezza. In particolare, colpiscono i verbali del 2023, quando Giovanni – allora di soli otto anni – raccontò episodi di violenza vissuti durante le visite con la madre.
“Mamma ha provato a strozzarmi“, disse ai militari, mimando con le mani il gesto dello strangolamento. Una frase che, riletta oggi, pesa come un macigno. Quei racconti erano stati raccolti e trasmessi alle autorità competenti, ma alcune segnalazioni furono successivamente archiviate.
Il conflitto familiare, iniziato nel 2017 dopo la separazione dei genitori, vide negli anni un crescendo di tensioni. Denunce, sopralluoghi, relazioni dei servizi sociali e sentenze si alternarono delineando un quadro già complesso. Eppure, nonostante precedenti episodi come una minaccia di suicidio con il bambino risalente al 2018, parte delle accuse venne ritenuta non dimostrabile o compatibile con situazioni accidentali.
Sul caso sono state aperte due diverse inchieste. La prima, di natura penale, punta a chiarire come una donna già seguita da un Centro di Salute Mentale e monitorata dai servizi sociali abbia potuto accedere al figlio senza alcuna supervisione. L’assenza di operatori durante l’ultimo incontro rappresenta uno dei nodi principali da sciogliere per gli investigatori.
La seconda indagine è invece ministeriale. Il Guardasigilli vuole fare piena luce sulle procedure, sulle valutazioni tecniche e sulle decisioni del tribunale che portarono a concedere alla madre la possibilità di vedere Giovanni senza accompagnamento. Una scelta che, oggi, appare al centro del dibattito giudiziario e politico. La sentenza del 13 maggio 2024 del tribunale civile, che autorizzò gli incontri “non protetti”, è ora oggetto di una revisione approfondita. Secondo la ricostruzione della difesa del padre, questa decisione arrivò dopo che i servizi sociali avevano riportato presunti miglioramenti nelle condizioni della donna. La madre risultava infatti seguita regolarmente da un Centro di Salute Mentale, motivo che avrebbe indotto a una valutazione di minor rischio.
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