cristina pagliarulo (foto FB) - teleone.it
Ancora un caso di malasanità in Italia continua a far discutere, con la drammatica testimonianza di una donna affranta dal dolore
Negli ultimi anni il tema della malasanità è emerso con forza, diventando una ferita aperta nel sistema sanitario nazionale. L’Italia vanta medici di eccellenza, ospedali all’avanguardia e strutture che rappresentano un punto di riferimento internazionale. Tuttavia, parallelamente, crescono i casi in cui errori diagnostici, disattenzioni o lentezze burocratiche hanno portato a conseguenze devastanti per i pazienti e le loro famiglie.
Ogni anno, associazioni di categoria e movimenti civici segnalano decine di episodi di errori medici, cartelle cliniche gestite in maniera superficiale e interventi chirurgici eseguiti con imperizia. Spesso, a pagare il prezzo più alto, sono i cittadini comuni, costretti a convivere con invalidità permanenti o, nei casi più estremi, a piangere la perdita di un familiare.
Le cronache italiane hanno raccontato episodi avvenuti da Nord a Sud: da pazienti operati all’organo sbagliato, a neonati che hanno perso la vita a causa di diagnosi tardive, fino a malattie non riconosciute in tempo. Questi fatti, oltre al dolore personale, alimentano un senso di sfiducia nei confronti del sistema sanitario, minando il rapporto di fiducia tra medici e cittadini.
Il tema è diventato anche politico, con richieste di maggiori controlli, protocolli più severi e investimenti nella formazione. La malasanità non è solo una questione di errori umani: spesso dietro si nascondono carenze strutturali, turni massacranti, ospedali con organici ridotti e macchinari obsoleti. Eppure, per chi subisce un danno, la causa rimane una sola: un errore che non doveva avvenire.
Proprio da questa realtà emerge la vicenda di una donna, la mamma di Cristina Pagliarulo, deceduta a 40 anni, che ha deciso di raccontare la sua esperienza, diventata simbolo di una battaglia più ampia. Dopo mesi di visite e diagnosi contrastanti, si è trovata davanti a un muro di silenzi e versioni discordanti. Il suo racconto mette in luce la solitudine e l’impotenza che spesso vivono i pazienti vittime della malasanità.
La donna sottolinea come i controlli a cui era stata sottoposta la figlia non fossero stati valutati con la dovuta attenzione. I medici, secondo la sua versione, non avrebbero preso sul serio i sintomi che descriveva, minimizzando segnali che col senno di poi avrebbero potuto cambiare radicalmente il corso della sua vita. Una condizione che l’ha portata non solo a subire danni fisici, ma anche a un enorme trauma psicologico.
“Mia figlia è stata condannata a morte in questo ospedale”, è l’urlo di dolore della mamma, che ha sostenuto che la figlia sarebbe stata lasciata in un lettino d’ospedale per 12 ore. Nell’ultimo passaggio del suo racconto la donna – che ha contestato anche il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, durante la cerimonia di insediamento del nuovo direttore generale, Ciro Verdoliva – è categorica: secondo lei tutto ha avuto origine da “una TAC letta male”.
Quel referto, interpretato in modo superficiale, ha segnato l’inizio di un percorso di sofferenza che poteva essere evitato. L’errore diagnostico, infatti, ha causato un ritardo nelle cure e un aggravamento delle sue condizioni. Il suo caso, come tanti altri in Italia, apre alla riflessione su quanto sia urgente migliorare il livello di attenzione e responsabilità all’interno degli ospedali. Ogni errore può diventare un dramma umano, e solo attraverso protocolli più rigorosi e una formazione continua dei professionisti si potrà sperare di ridurre le tragedie legate alla malasanità.
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