Il prezzo è salito vertiginosamente. E adesso, per portare a casa una bottiglia di olio extravergine di oliva, secondo le ultime stime servono 9 euro. Secondo l’indagine condotta dall’Istituto Piepoli, che ha intervistato un campione di italiani, un consumatore su tre non lo acquista più come prima.
Si tratta dei dati che saranno presentati a Bitonto, nell’ambito del seminario di Cibus Lab dedicato all’olio d’oliva e co-organizzato da Cibus di Parma.
Secondo gli autori dell’indagine, sul mercato dell’oro giallo si è abbattuta una tempesta perfetta, peraltro non circoscritta ai confini della penisola. La crisi climatica che ha portato a una diminuzione della produzione mondiale di olio d’oliva ha colpito duro soprattutto in Spagna, i cui produttori sono stati a lungo in grado di inondare il mercato con bottiglie d’olio a prezzi competitivi. Tutto questo non si è però potuto ripetere nel 2023, quando il drastico calo della produzione spagnola ha portato alla carenza di prodotto sul mercato e al conseguente raddoppio del costo medio al litro sugli scaffali della grande distribuzione. Da qui l’allontanamento dei consumatori.
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Secondo lo studio Piepoli, l’aumento del prezzo da 4 a 9 euro a bottiglia ha cambiato le abitudini d’acquisto di circa il 30% dei consumatori. In particolare il 47% degli intervistati dichiara di aver diminuito il consumo del 30% e il 40% dice di averlo dimezzato. Più in generale, il 45% del campione sostiene di aver cambiato le proprie abitudini in cucina passando al più economico olio di semi: molti solo per cucinare, alcuni anche per condire.
Anche per Chiara Coricelli, ad della Pietro Coricelli, il calo reale dei consumi è più basso di quello indicato dall’indagine. Ma soprattutto, in controtendenza gli acquisti di extravergine 100% italiano sarebbero in crescita. “I consumatori, dato che devono spendere di più per comprare l’olio, preferiscono spendere – spiega – per un prodotto made in Italy”.
E questo è un bene per tutta la filiera: “Con 3 euro alla bottiglia eravamo arrivati a una svalutazione dell’extravergine. Prezzi come questi erano insostenibili per retribuire adeguatamente tutta la filiera. Magari qualche centesimo di abbassamento non guasta, rispetto ai 9 euro di oggi, ma ci vuole una giusta rivalutazione del prodotto. L’olio era diventato una commodity, ma non ha i numeri per essere una commodity. L’extravergine è un prodotto premium e deve essere valorizzato proprio come è successo per il vino“.
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